Esiste l’arte, esiste chi gode dell’arte, esistono gli artisti e poi, di rado, ma molto di rado, potresti incontrare qualcuno che di per sé costituisce un’opera d’arte. Ancora più straordinario è quel caso in cui questo raro soggetto è anche un artista. A questo punto diventa veramente impossibile scinderlo dalla sua opera e se hai anche l’ardire di ritrarlo non puoi che incontrarlo immerso nelle sue creazioni. A questo punto le domande ti verranno meno e ciò che ti ridurrai a scrivere saranno le tue impressioni, gli odori che rammenti, la morbidezza della luce e l’accompagnamento della musica. Oggi quindi non vi parlerò di una donna, ma di un contagio. Di un magnifico virus di passioni, eleganza, ricordi, propositi, entusiasmo ed inventiva. Ho incontrato un’artista che è anche un’opera d’arte, un sofisticato esempio di stile, uno scrigno di idee e, come vedete, una regina di seduzione.
Dorothee Heymann non poteva che vivere nella strada dell’arte, dove anche a chi non frequenta i musei questa s’impone dalle vetrine delle vecchie botteghe antiquarie che una dopo l’altra s’affastellano lungo i marciapiedi. L’eleganza e la bellezza non necessitano d’un biglietto da visita. Ti aprono sinuose la porta principale e tu, anche se non le conosci, anche se non le ami, necessariamente sarai rapito. Rapito da uno sguardo, da una mano, dal panneggio di uno scollo, dalle curve di un tacco, dai colori di un quadro, dall’unico arredamento possibile. Questa è Dorothee o almeno lo è per me. Così che adesso mi resta difficile parlarvi di cosa indossasse, darvi conto, anche brevemente, di chi sia, illustrarvi i suoi quadri, la raffinatezza del suo trucco, la dolcezza della sua cucina. Ho scattato molte foto e spero che mi aiutino.
Riservata per natura, ama però farsi fotografare ed è chiaro, purtroppo, che io sia il meno esperto ad averlo fatto. E’ nata a Parigi e già questo le conferisce, se ce ne fosse bisogno, almeno in letteratura, un fascino aggiuntivo. “La mia arte - dice - come il mio stile, il mio abbigliamento e la mia cucina, sono di necessità la sintesi tra Europa e Medio Oriente”. Ha vissuto per molti anni a Tel Aviv, dove ha casa e torna con regolarità, ma la sua città è ormai Firenze. Qui ha gli affetti più grandi e qui dipinge. Del suo stile non parla. “Non ne ho soltanto uno. Non mi affeziono troppo alle cose e quindi cambio spesso modo di vestire”. Dipende, come dico sempre, dalle circostanze, ma anche se l’atro pomeriggio non c’era un’occasione, se non quella di scambiare due chiacchere con me, Dorothee ha palesato la sua versatilità e così potete vederla ritratta in due versioni di se stessa.
Per le prime foto ha indossato un kimono che io definirei rivisto e corretto. Un abito che esemplifica quella sintesi tra culture che tanto la rappresenta. Ha del classico kimono il tessuto, i colori e le decorazioni, ma alle linee comode del Giappone si sostituisce un taglio tipicamente occidentale che segna le curve e magnifica la femminilità. Abbinate a quest’abito delle platform in suede di Marni. Sulle labbra, l’accessorio a cui non rinuncia mai: il suo rossetto, quindi uno smalto nero. Colore che, per questo autunno, ha sostituito le più fresche tonalità che in genere Dorothee usa in estate. Al collo un pendentif etnico acquistato in Israele. Dopo qualche scatto ecco lo switch e la mia ospite appare in un abito di Christian Lacroix, uno stilista senza tempo le cui opere hanno la familiarità dell’essenziale e il fascino del lusso più opulento. Un grande collo a corolla che termina in un profondo scollo circolare sulla schiena, ai piedi decolté vintage di Ferragamo, infine, a incorniciarle il volto, due orecchini di Pomellato in acquamarina. In queste vesti non so perché , ma mi sembra una first lady, una donna che sa reggere le sorti di chi ha in mano quelle di tutti.
Anche se ritratta tra i suoi quadri non dà l’idea di una che ami troppo la cucina, Dorothee invece si diletta, se pur di rado, ai fornelli. Per lo più ama la convivialità e il prendersi cura degli ospiti. Adora il gesto dell’offerta del cibo e quindi il rito del servirlo. Non cucina spesso, ma quando lo fa cerca, come dice, di non trascurare nulla: “la tavola, il cibo e l’abbigliamento sono tutte arti del sedurre e ognuna di questa sfrutta i colori, le forme, le materie. Certo che c’è connessione tra moda e cucina e se organizzi una cena deve esserci anche sinergia fra le due cose”. Avrei voluto provare qualche suo manicaretto, ma Dorothee era in partenza e quindi sono solo riuscito a farmi dare la sua ricetta dell’astice al pompelmo, prezioso ed elegante, come lei.
Per sei persone: procuratevi 2 astici di circa 1 kg ciascuno, due pompelmi, mezzo limone, due cucchiai di brandy, mezzo bicchiere di vermouth dry, 50 gr. di burro, una manciata di prezzemolo tritato, sale e pepe q.b. In una pentola molto ampia portate ad ebollizione abbondante acqua salata e immergeteci gli astici facendoli cuocere per circa un quarto d’ora, quindi estraeteli e conservateli. Sbucciate bene i pompelmi e tagliateli in spicchi, metteteli da parte insieme al succo che avranno rilasciato durante la mondatura. In un pentolino versate il brandy, il vermouth e il succo di limone scaldandolo a fiamma media fin quando non si sarà ridotto a metà. A questo punto aggiungete il succo di pompelmo e portate ad ebollizione facendo addensare la salsa. Una volta tolta dal fuoco unite il burro a pezzetti e amalgamate. Tagliate gli astici a metà e sgusciate le mezze code disponendo poi la polpa sul piatto di portata. Salate leggermente, bagnate la polpa con la salsa e guarnite con gli spicchi di pompelmo il prezzemolo e il pepe. Buona cena e buona mise a tutti!